Intelligenza straordinaria e cura dei bambini

 

 

LORENZO L. BORGIA

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIV – 28 maggio 2016.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

La straordinaria intelligenza della specie umana[1] è stata storicamente messa in relazione con l’eccezionale sviluppo della neocorteccia, un evento che Haldane per primo riconobbe come il cambiamento più rapido nell’evoluzione animale. Varie teorie cercano di spiegare in che modo si siano determinate le condizioni che hanno indotto i cambiamenti genetici necessari all’affermazione della caratteristica distintiva più importante del genere Homo. Ciascuna predilige un particolare fattore, quasi tutte invocano lo sviluppo di “circoli virtuosi” di potenziamento moltiplicativo dei progressi dovuti ad un primum movens, ma la ragione di una differenza qualitativa così marcata con i primati a noi più vicini non sembra essere stata sufficientemente spiegata da alcuno dei costrutti teorici più noti e dibattuti.

Un argomento particolarmente considerato nella psicologia dello sviluppo durante il secolo scorso, ma poi accantonato, ossia la “prematurazione specifica” della nostra specie, sembra essere tornato di attualità, non per spiegare le particolarità dell’ontogenesi umana, ma per considerazioni relative alla filogenesi della nostra intelligenza superiore.

Steven Piantadosi e Celeste Kidd dimostrano come la selezione naturale che favorisce cervelli di maggiori dimensioni può portare a neonati prematuri, che a loro volta richiedono maggiori abilità cognitive dei genitori per crescere, diventando un fattore di selezione per cervelli più grandi. I due autori dimostrano che tali dinamiche possono auto-rinforzarsi e portare alla fuga selettiva verso un’intelligenza estremamente elevata e neonati inetti.

Gli autori hanno verificato una previsione basata sulla teoria: l’inettitudine del neonato di un primate dovrebbe fedelmente predire la sua intelligenza. La verifica proposta nell’articolo dimostra che le cose stanno realmente in questo modo e pone in rapporto la congettura degli autori con le teorie dell’unicità umana e con il problema relativo al perché il livello di intelligenza espresso dall’uomo abbia richiesto così tanto tempo nella storia della vita sulla terra per evolversi.

(Steven T. Piantadosi & Celeste Kidd, Extraordinary intelligence and the care of infants. Proceedings of the National Academy of Sciences USA – Epub ahead of print doi: 10.1073/pnas.1506752113, 2016).

La provenienza degli autori è la seguente: Department of Brain and Cognitive Sciences, University of Rochester, Rochester, New York (USA). [Edited by C. Owen Lovejoy, Kent State University, Kent, OH].

Prima di proporre in sintesi gli argomenti di Piantadosi e Kidd, desideriamo fare riferimento al campo delle teorie sull’evoluzione dell’intelligenza umana senza elencarle, perché questo esulerebbe per dimensioni e tema dai limiti di questa recensione, ma prendendo per metonimia, anche se non esemplare, la tesi di maggior interesse neurofisiologico[2].

Fino agli anni Ottanta la maggior parte dei costrutti teorici poneva al centro un’abilità cognitiva o sociale della nostra specie e mostrava con buona coerenza logica come fosse plausibile che tale proprietà avesse avuto un ruolo chiave nell’innescare una serie di processi a feed-forward in grado di determinare lo sviluppo esplosivo di cervello e intelligenza. Ad un certo punto, però, accurati rilievi antropologici sui resti cranici di australopitecine e di esemplari del genere Homo, con deduzioni di neuroanatomia e neurofisiologia, rivelarono un aspetto che metteva in crisi tutti gli assunti di questo genere: lo sviluppo esplosivo del cervello si era verificato prima della comparsa delle caratteristiche che riteniamo distintive dell’intelligenza umana.

Un gruppo di lavori pubblicati fra il 1989 e il 1990 proponeva la sorprendente ipotesi che il rapido picco di espansione encefalica fosse la conseguenza di ragioni che nulla avevano a che fare con le prestazioni cognitive, ma erano la diretta conseguenza di ragioni di ingegneria biologica e biofisica fisiologica. La riflessione partiva dalle condizioni di vita degli ominidi protoumani, la cui provenienza dalla caldissima savana dell’Africa orientale aveva imposto degli adattamenti necessari alla refrigerazione dell’encefalo i cui neuroni sono molto sensibili e vulnerabili alle alte temperature[3]. Il primo di questi adattamenti sarebbe stato il bipedismo, ossia l’assunzione della stazione eretta.

Per rendersi conto di quanto incida in termini di temperatura la disposizione del corpo rispetto al sole, si può fare un semplice esperimento andando al mare in questi giorni di maggio. Noteremo che basta un po’ di vento a darci fastidio perché le temperature, soprattutto nell’Italia centrosettentrionale, non sono molto alte; è sufficiente però sdraiarsi al sole per non sentire più il vento e non avere più bisogno di una maglietta. Perché? In posizione eretta si abbassano la temperatura del corpo e l’umidità, si percepisce il vento e si assorbe una quota di calore inferiore del 60% rispetto alla posizione sdraiata o dell’animale quadrupede[4].

La posizione del bipede protegge dal colpo di calore, ma l’azione diretta dell’irradiazione solare si concentra sul cranio.

Dopo l’assunzione della stazione eretta nel corso dell’evoluzione, è trascorso più di un milione di anni prima che si sia avuto l’improvviso accrescersi dell’encefalo nelle dimensioni che hanno portato da Homo erectus ad Homo sapiens. Un tempo così lungo si ritiene sia stato necessario per lo sviluppo di un differente sistema vascolare cerebrale. Una testa posta in linea verticale sopra il livello del cuore riceve un flusso sanguigno minore per effetto di gravità, pertanto è stato necessario lo sviluppo di uno specifico dispositivo cerebrovascolare con quella particolare rete, descritta in anatomia umana, che assicura elevato flusso arterioso ed ottimale drenaggio venoso in tutte le condizioni posturali. I nostri progenitori provvisti di questa rete svilupparono un cervello più grande; le australopitecine che non andarono incontro a questo adattamento conservarono un piccolo encefalo e una fronte bassa.

Secondo l’antropologo statunitense Dean Falk, uno dei più importanti adattamenti che ha portato all’incremento esponenziale della neocorteccia è uno specifico meccanismo di raffreddamento basato su vene emissarie presenti nel genere Homo e solo nelle varietà di Australopithecus che appartengono alla linea dei nostri progenitori. In breve, il dispositivo vascolare evolutosi per effetto ed esigenze della stazione eretta ha funzionato da radiatore che, consentendo di eliminare dall’interno del cervello il calore in eccesso prodotto dall’esercizio fisico, ha rimosso una causa limitante l’espansione.

L’antropologo polacco Konrad Fialkowski ha fornito probabilmente il contributo maggiore a questa visione teorica: il rapido sviluppo dell’encefalo umano sarebbe l’approdo di un lungo processo di evoluzione della protezione delle cellule cerebrali dallo stress da calore che, grazie alle modificazioni dei dispositivi vascolari e ad altri meccanismi, ha consentito lo sviluppo di neuroni in eccesso e di reti ridondanti in grado di funzionare da riserva acuta e cronica per compensare il danno da calore. Proprio questa origine, secondo Fialkowski, spiegherebbe l’organizzazione in parallelo dei numerosi sistemi della corteccia, solo successivamente reclutati per funzioni specifiche, col procedere della specializzazione legata all’evoluzione neuropsichica.

Negli anni Novanta, Peter Wheeler in Inghilterra si è fatto interprete di queste idee ed ha fatto conoscere nel mondo il lavoro di Fialkowski. Le tesi di Falk, Fialkowski e Wheeler hanno ottenuto rispetto e considerazione da parte di molti neurobiologi, ma nel campo dell’antropologia rimangono “speculative e controverse”.

Tanto premesso, per dare idea di una linea teorica sviluppata a partire da elementi di anatomia e fisiologia al lettore che non abbia familiarità con questi argomenti, ritorniamo allo studio qui recensito.

Piantadosi e Kidd dimostrano attraverso un modello evoluzionistico che la fuga selettiva verso l’alta intelligenza si può verificare su questa base:

          1) neonati inetti richiedono genitori intelligenti;

          2) genitori intelligenti devono avere cervelli di grandi dimensioni;

          3) da soggetti con cervelli grandi si ha prole maggiormente inetta.

Per testare la capacità di previsione della teoria, i due autori hanno studiato il rapporto, attraverso i generi dei primati, fra il grado di inettitudine dei neonati e l’intelligenza nell’età adulta. Ne è risultato che l’inettitudine dei piccoli è un fattore particolarmente fedele nella previsione del livello cognitivo degli adulti. Su questa base sono state discusse varie implicazioni, inclusa la capacità di questo collegamento di spiegare perché un’intelligenza del livello di quella umana si sia potuta sviluppare solo nell’ambito dei mammiferi.

Gli autori poi affermano che la loro teoria può completare precedenti ipotesi che legano l’intelligenza umana al ragionamento sociale e alle pressioni riproduttive, e spiegare come la nostra capacità cognitiva sia diventata così distintiva rispetto a quella dei nostri parenti filogeneticamente più prossimi.

Gli argomenti a sostegno della tesi illustrata da Piantadosi e Kidd – per i quali si rinvia alla lettura integrale dell’articolo originale – non sono solo ragionevolmente persuasivi ma contengono passaggi anche tecnicamente convincenti, se uno studioso del calibro di Lovejoy ha scelto di sottoscriverne i contenuti, assumendo il ruolo di garante quale editor per la rivista Proceedings of the National Academy of Sciences USA. Tuttavia, ad osservatori non così specificamente competenti, ma avvantaggiati dall’essere sufficientemente distaccati come noi, sembra che il valore principale se non esclusivo dello studio consista nell’aver avuto l’idea di porre l’insieme prematurazione-cure parentali, da sempre sotto gli occhi di tutti gli studiosi del campo, all’origine dei processi che hanno determinato lo sviluppo esplosivo della neocorteccia e delle abilità cognitive umane. Ciascuno potrà formarsi un’opinione personale leggendo l’articolo, ma a nostro modesto avviso non vi si trovano ragioni che consentano di riconoscere a questa congettura una priorità su tutte le altre ipotesi e teorie, o quantomeno di considerare queste ultime tutte dipendenti dal nucleo di eventi dello sviluppo post-natale precoce e non interdipendenti.

 

L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura degli articoli di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Lorenzo L. Borgia

BM&L-28 maggio 2016

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] Per uno studio recente sui rapporti fra intelligenza e sostrato neurale si veda in Note e Notizie 16-01-16 Fattori neuronici correlati ad elevata intelligenza.

[2] La massima parte delle elaborazioni teoriche prende le mosse da abilità esclusive dell’uomo, come la parola, e dimostra come gli adattamenti legati al loro sviluppo possano aver determinato processi in grado di causare una progressione geometrica dell’incremento volumetrico encefalico. Molte sono costruzioni congetturali post hoc; ad esempio, il rilevo in reperti paleoantropologici di uno slargamento dello speco vertebrale tipicamente umano ha indotto degli studiosi ad ipotizzare che il maggior volume del midollo spinale in quel tratto fosse dovuto ad una maggiore espansione dei muscoli respiratori messa in rapporto con le esigenze della fonazione legate alla facoltà del linguaggio verbale.

[3] Nell’uomo un innalzamento di 1-2°C del cervello è sufficiente a disturbarne le funzioni; con un aumento di 4°C dell’encefalo si ha il colpo di calore. In molti carnivori adattati alle alte temperature un labirinto vascolare o “rete mirabile” funge da radiatore che raffredda il cervello. Nel cane, non provvisto di questo dispositivo speciale, la respirazione ansimante a bocca aperta consente all’estesa superficie della lingua ed al sudore linguale di espandere l’area di refrigerazione che trasmette il fresco attraverso il sangue al cervello.

[4] Si è calcolato che nella vegetazione subtropicale alta intorno ai 50 centimetri un bipede elimina calore con una velocità di un terzo superiore ad un quadrupede.